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Quest’anno, per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) è stato scelto il brano di Epifania, in modo particolare il seguente versetto: “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2,2). Sappiamo che – insieme ai pastori – i maghi sono i primi che secondo i vangeli vengono a adorare il bambino Gesù nel quale hanno riconosciuto uno molto importante, tanto di voler adorarlo come Dio. Forse però non siamo consci che proprio questi, sia i pastori che i maghi, sono stati tra quelli che gli israeliti di quel tempo consideravano i più lontani, i meno appropriati all’incontro con Dio – gli uni e gli altri erano esclusi dal tempio, dai riti considerati sacri, dalla possibile comunione con Dio. Eppure, sembra che proprio questi siano stati più aperti alla rivelazione di Dio, anzi: è grazie a loro che il Signore si è manifestato al mondo, si è rivelato e si è fatto conoscere agli altri.

The μάγοι, made by Centro Aletti in Roman Seminary, Rome 2021

A prescindere da chi sarebbero questi maghi, una cosa è abbastanza certa: sono stranieri, non sono parte del popolo d’Israele e non condividono la loro religione. In questo senso sono considerati come altri pagani di quel tempo. Malgrado questo, come testimonia la storia di Pietro e Cornelio (cf. At,10), anche molti pagani hanno accolto lo Spirito Santo, il quale ha potuto fare loro conoscere il Figlio di Dio e attraverso di Lui il Dio Padre. I maghi e molti altri pagani hanno aperto il loro cuore all’amore che lo Spirito Santo versa nel cuore umano (cf. Rm 5,5).

E come mai che questi erano più aperti a Dio uno e trino che gli scribi e i farisei, che erano considerati il meglio del popolo eletto? Forse, perché erano più liberi, non legati alle regole e alle prescrizioni che impone la religione del popolo d’Israele. Sì, lo Spirito Santo può essere accolto solo dalle persone libere, sia del popolo dell’Israele, sia da quelli altri. Solo i liberi possono riconoscere il Figlio del Padre, sia nel piccolo bambino Gesù, sia nello stesso Gesù durante la sua passione e al momento della sua morte – sappiamo infatti che in quel momento lo ha riconosciuto tale solo un soldato romano, anche lui straniero e pagano.

Synodal diptych, part 1: Crucifixion, made by Centro Aletti, Rome 2021

Questo certo non vuole dire che per poter aprirsi allo Spirito bisogna essere pastori o maghi o pagani o stranieri. Comunque, una condizione sembra abbastanza chiara: ci vuole la libertà dalle regole, dalle prescrizioni, e soprattutto da sé stessi, dai propri interessi. In una tale libertà, la Vergine Maria ha potuto accogliere lo Spirito e con lui anche il Verbo che in Lei si è incarnato. In seguito Lui stesso, Gesù Cristo, è venuto liberarci per essere liberi, come sottolinea san Paolo (cf. Gal 5,1). Grazie a questa libertà, dopo la morte e risurrezione di Cristo, lo stesso Spirito ha potuto unire i discepoli dispersi e formare da loro il suo Corpo che è la Chiesa. Una Chiesa certo molto diversificata, con non poche tensioni sin dall’inizio, ma unita grazie all’apertura allo Spirito Santo. I cristiani sin dall’inizio cercavano di vivere nella comunione aprendosi a quell’amore ricevuto che li rendeva liberi e allo stesso tempo uniti.

Pentecost, made by Centro Aletti in Roman Seminary, Rome 2021

Riflettendo su questo brano, guardo le relazioni tra i cristiani attraverso la storia e in modo particolare in questi ultimi anni. Mi limito alle relazioni con le Chiese dell’Oriente cristiano non cattoliche, soprattutto bizantine – infatti, sono quelle che conosco meglio e con le quali ho più rapporti. Inoltre, crediamo che queste Chiese abbiano, come quella cattolica, la successione apostolica e i sacramenti validi. Con loro, almeno dal nostro punto di vista, non ci sono i veri ostacoli dogmatici per una piena comunione, ma piuttosto la difficoltà di comprenderci a causa di lunghi secoli vissuti ciascuno per consto suo. Perché allora non riusciamo ad incontrarci veramente e celebrare insieme l’eucaristia? Che cosa in fondo ci divide veramente? Ma più che rispondere a questo, mi piacerebbe vedere i passi che sono stati fatti per superare questa divisione, e quelli che ancora ci aspettano.

Grazie a Dio, abbiamo fatto molti passi gli uni verso gli altri, soprattutto in seguito alle aperture da parte cattolica dopo il Vaticano II, ma anche il desiderio dell’incontro da parte delle Chiese ortodosse, anche se non tutte ugualmente. Ci sono stati molti incontri a tutti i livelli, molti gesti di accoglienza e anche domande di perdono, molte occasioni per conoscerci meglio. Comunque, negli ultimi anni, il fervore iniziale sembra essersi raffreddato, a volte dall’una e altre volte dall’altra parte. In più, recentemente sono sorse le nuove difficoltà, che riguardano soprattutto le relazioni tra le Chiese ortodosse bizantine. Se è vero che anche finora si percepivano delle tensioni tra di loro, hanno comunque conservato la comunione di fondo che si esprimeva nella comunione eucaristica e non solo. Negli ultimi anni, però, tra alcune Chiese ortodosse questa comunione è stata interrotta e tensioni sembrano crescere. Tutto questo, purtroppo, influisce negativamente anche sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.

Quale è il cammino da fare per superare le divisioni? Non voglio pretendere di avere una risposta, anche se in fondo è molto facile ed è probabilmente quella di sempre: apertura allo Spirito Santo che ci riempie dell’amore, che ci libera da noi stessi per poter incontrare e accogliere l’altro. In certo senso anche i maghi ci possono insegnare qualcosa in questo senso: aprire il cuore, fare una ricerca sincera e libera, lasciarsi guidare, riconoscere l’altro e dare fiducia. Tutto questo apre all’incontro, favorisce la conoscenza reciproca, aiuta a superare i pregiudizi e ritrovare la comunione tra le persone.

Synodal diptych, part 2: Gift of the Spirit, made by Centro Aletti, Rome 2021

Questo però vuol dire anche saper “relativizzare” – in senso buono della parola – le proprie dottrine, regole e strutture, per poter incontrare l’altro, per poter conoscerlo e apprezzarlo, e così conoscere meglio anche sé stesso. “Relativizzare” qui non vuol dire altro che dare precedenza alla “relazione”, all’amore che lo Spirito Santo verso nei nostri cuori e che l’unico può dare il verso senso anche agli insegnamenti, alle prescrizioni e alle strutture. Infatti, se il primato è dato alle relazioni, anche tutto il resto può aiutare nel cammino verso la comunione piena, come prega il Signore stesso: “Perché tutti siano una sola cosa” (Gv. 17,22). Nel caso contrario, invece, insegnamenti e norme, per quanto possono essere buone in sé, rischiano di portare alle tensioni e persino alla divisione.

Nella situazione attuale, non vedo altro modo che continuare l’impegno e fedeltà nelle relazioni già intraprese, sia a livello istituzionale che personale. Ma visto che le relazioni ufficiali in alcuni casi sembrano essere più difficili, sarebbe tanto più importante moltiplicare e approfondire quelle personali. In questo senso mi aiuta spesso la testimonianza di p. Tomáš Špidlík, a cui piaceva dire di non aver incontrato gli “ortodossi” ma gli “amici” – e lui ne aveva tanti, con i quali aveva relazioni più o meno frequenti. Anche la mia esperienza in questo senso è bella, anche se piccola: ho sperimentato varie volte come una relazione senza interesse e gratuita ha aperto le porte, ha superato i pregiudizi da entrambe le parti e ha permesso la reciproca conoscenza, rispetto e a volte persino un’amicizia duratura. In alcuni casi un tale rapporto personale ha aperto qualche porta persino a livello ufficiale.

Chiediamo allora il Dio Padre che apra i nostri cuori allo Spirito Santo, affinché lui possa liberarci da noi stessi e unirci al suo Figlio nella comunione della Chiesa, Corpo di Cristo.

About the Author

Milan Žust SJ

Jesuit, Gregorian University

Fr. Milan Žust SJ teaches in the faculty of missiology at the Gregorian University, Rome. He is also a member of the community of The Holy Trinity (Centro Aletti). Fr. Žust is also a consultor of Pontifical Council for Promoting Christian Unity (ecumenical relations with the Oriental Churches).

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